Un Nuovo Secolo (2)

ATTENZIONE. Tutte le immagini relative a Walt Disney o alle opere della sua azienda, sono © Disney.

Le cose cambiano

Per una curiosa coincidenza, questo aggiornamento sulla storia Disney giunge a tre anni dal precedente (2004), a sua volta successivo di tre anni al Dopo Walt (2001). Tutto sommato, a breve distanza l'uno dall'altro.
Forse questo significa che l'attività di una azienda grande come la Disney avviene in gran parte senza che noi ce ne accorgiamo, e che a darci la sensazione di mutamenti e instabilità siano le vibrazioni di un lavoro sotterraneo ben più solido di quanto appaia.
Forse significa che la miriade di notizie che riceviamo sono pretestuose o pilotate, quando non del tutto infondate.
Forse significa che sono in atto dei mutamenti repentini che possono modificare la visione stessa della Factory.
Ma forse significa anche che l'ottimistico pensiero con cui si chiudeva la pagina del sito intitolata "Un nuovo secolo" può diventare una felice intuizione.

Quante cose sono cambiate in tre anni! E chissà quante ne cambieranno ancora.


Dove eravamo rimasti

Nel 2004 La Factory perdeva il suo smalto e, quel che è peggio, sembrava volerlo recuperare trasformando i suoi prodotti e allontanandosi dai suoi elementi più... disneyani.
Questa è l'impressione che avevamo durante l'ultima parte del regno di Michael Eisner.
Ad un certo punto i fans si videro piovere addosso notizie più o meno clamorose, per lo più negative.
Tra le peggiori ricordiamo la decisione di non produrre più lungometraggi di animazione classica (tagliando i ponti con una tradizione che nasce negli anni trenta) e l'intenzione della PIXAR di trovare altre case alle quali associarsi (privando la Disney di incassi e simpatie notevoli).
La conseguenza fu la nascita di film in computer grafica realizzati dalla Casa di Topolino in proprio ("Chicken Little - Amici per le Penne") o da altre che avrebbero dovuto riempire il vuoto che la PIXAR si apprestava a lasciare ("Uno Zoo in Fuga" o addirittura "Valiant", distribuito dalla Buena Vista ma senza essere un prodotto Disney).
Una contromossa dagli effetti poco esaltanti, a dire il vero. Anche in presenza di sforzi produttivi, il risultato è un surrogato dei Classici e dei PIXAR.

Roy Edward Disney si dichiarò fuori e lasciò l'azienda di famiglia, Stanley Gold lo seguì.
Poco dopo, il consiglio interno e gli azionisti sfiduciarono Michael Eisner, che finì con l'uscire di scena. Eisner voleva che il suo posto fosse preso da Robert (Bob) Iger, da anni al suo fianco, ma avrebbe avuto senso indicare al presidente uscente la porta e mettere un suo prescelto sul trono?
Eppure è quello che accadde: Iger prese il comando della Disney.

Proprio per l'apparente illogicità di una tale mossa, è lecito prendere con le pinze queste informazioni, probabilmente viziate. Non è detto che Iger fosse il pupillo di Eisner, nè che Eisner abbia spinto per la sua elezione. Nè che Iger dovesse essere la naturale prosecuzione del dominio di Michael Eisner.


L'inizio dell'epoca Iger

Era il 2005 quando Michael Eisner, dopo ventuno anni lasciava la Disney. Al suo posto c'era adesso un nuovo personaggio, sconosciuto al pubblico. Naturalmente è presto per giudicare, ma possiamo notare come si sia percepito il cambio di direzione.

Poco prima dell'uscita di Eisner, Roy Disney rientrò nel consiglio di amministrazione, segno che qualcosa stava già cambiando.
Iger fece poi dichiarazioni promettenti e bei propositi per il futuro, ma al momento erano solo parole. I fatti arrivarono poco più tardi.
La PIXAR, che si era detta intenzionata a non mantenere i rapporti con la Disney, si riavvicinò, col risultato di creare un nuovo colosso.
Si perché la direzione non era più quella di un contratto di collaborazione, ma di una vera e propria fusione. Il 24 Gennaio 2006, con una manovra da 7,4 milioni di dollari, la Walt Disney acquisì la PIXAR ma non per divenirne proprietaria, nè socia, nè altro. La Disney e la PIXAR erano adesso una sola cosa. Le autonomie delle due case si ritrovavano nelle produzioni, ma nessuna era indipendente dall'altra, e le alte cariche aziendali si mescolarono, creando nuove possibilità e portando nuova linfa.

Una sorpresa la portò John Lasseter, papà di "Toy Story" e degli altri blockbuster della PIXAR (non tutti come regista, ma ci sono sempre il suo zampino e il suo entusiasmo), ora ai vertici della divisione cartoon.
Ce lo immaginiamo come un guru della tecnologìa e un sostenitore delle nuove tecniche di animazioni, e ci ha piacevolmente spiazzati difendendo a spada tratta la Disney più classicheggiante, promuovendo il ritorno ai lungometraggi di animazione tradizionale e perfino degli shorts! Se il buon giorno si vede dal mattino, quella che ci aspetta può essere una giornata radiosa!
Senza contare che la sua PIXAR continuerà a produrre con i mezzi e lo stile di sempre.

La visione più tecnologica della fusione è rimasta, forse, nelle mani di Steve Jobs, divenuto ora il principale azionista privato della Walt Disney.
Proprietario della Apple (e della PIXAR), Jobs non pago dei milioni incassati in pochi anni non si è lasciato scappare l'oportunità di avere in una mano il catalogo Disney e nell'altra le tecnologie per diffonderlo via WEB (l'I-tunes è Apple), proiettando la Disney verso nuovi grandi laghi di denaro.

Sul piano produttivo, va segnalato che il progetto di "Raperonzolo" è stato rivisto e, a quanto si dice, riportato ad una dimensione meno sensibile allo stile caricaturale di "Shrek" della Dreamworks.
Il ritorno dei cartoni propriamente detti è stato affidato a qualche minuto in "Come di Incanto", un film modern-fantasy girato quasi per intero con attori, ma che prende le mosse in un immaginifico mondo di fiabe reso tramite sequenze a disegni animati.
Per il ritorno ufficiale si è scelto di creare una rilettura de "Il Principe Ranocchio", che della fiaba originale conserva ben poco, e sarà ambientato in una colorata New Orleans di inizio novecento, dove conosceremo la prima principessa Disney afro americana: Tiana.

È stato inoltre dato uno stop a prodotti di tipo squisitamente commerciali, quasi sempre al di sotto dello standard qualitativo della Disney: i sequel Home Video. Questi prodotti, che Lasseter ha definito "imbarazzanti", sono stati congelati con pochissime eccezioni e non si è dato il via a nuove lavorazioni. "La Sirenetta 3" è apparso fin da quel momento come l'ultimo sequel.


Michael Eisner

Michael Eisner è ormai un capitolo chiuso, con soddisfazione di fans e azionisti. Ma è possibile che la Disney abbia covato una tale serpe in seno per più di due decenni?
Naturalmente no!
La crisi che ha colpito la Casa del Topo negli anni novanta è sicuramente frutto di scelte sbagliate, ma forse non tutte operate da Eisner. Se non vogliamo riconoscergli un talento artistico, non possiamo dimenticare che il ruolo che ha ricoperto ne ha fatto uno dei manager più pagati del pianeta; non è un buon motivo per volere mantenere una azienda al meglio?

Ma chi è Michael Eisner?
Questo testo è stato preso da http://disneyano.altervista.org con un copia e incolla
Era il 1984 quando Roy Edward Disney riuscì a strappare quest'uomo alla Paramount per piazzarlo a capo del mondo creato da Walt.
Eisner aveva accettato una grande sfida dalla quale sarebbe uscito vittorioso; solo quattro anni dopo uscì "Chi ha Incastrato Roger Rabbit", seguito un anno dopo da "La Sirenetta". La Disney era di nuovo saldamente in campo e aveva iniziato ad inanellare una serie di clamorosi successi in molti campi.
Si corsero dei rischi ma ne valse la pena. Non si sapeva se il pubblico avrebbe gradito le fiabe, dopotutto la Disney non ne produceva da trent'anni, ma si iniziò a lavorare a "La Sirenetta" (1989), "La Bella e la Bestia" (1991) e "Aladdin" (1992) in rapida successione, con tempi di produzione che si accavallavano.
Rischiosa anche la scelta di creare un cartoon sostanzialmente drammatico, meno fiabesco e leggero di tutto quanto si era visto prima. Questo fece storcere il naso a molti, ma incantò moltissimi. La storia grandiosa e dolorosa de "Il Re Leone" vive tra quelle dei Classici più amati.
Anche "Pocahontas" e "Il Gobbo di Notre Dame" misero in un angolino le atmosfere sognanti e ovattate a favore di emozioni forti. Il primo mettendo addirittura fuori dalla sceneggiatura il lieto fine, il secondo addolcendo, ma nemmeno poi troppo, il sogno infranto del protagonista, innamorato di una ragazza che vedrà poi in sposa ad un altro.

Insieme ai suoi film, la Disney stessa stava cambiando, purtroppo.
I live action crescevano di numero ed erano sempre più carichi d'azione e meno di sentimento, i lungometraggi animati, nel seguire i gusti del pubblico (ma dov'era finito il coraggio che portò a "La Sirenetta"?) spinsero sulla commedia che passò da ingrediente a protagonista ("Le Follie dell'Imperatore, esilarante, certo, o "Lilo e Stitch" al quale va però riconosciuta anche la capacità di commuovere), o diventarono anch'essi d'azione, o d'avventura ("Atlantis").
Questo testo è stato preso da http://disneyano.altervista.org con un copia e incolla
Gli incassi ormai avevano iniziato a calare e ad assicurare un po' d'ossigeno alla Disney erano soprattutto due cose: i parchi a tema e i sequel dei Classici prodotti per il mercato domestico. Il sole stava calando sulla Factory. E su Eisner.
L'uomo che aveva guidato la straordinaria rinascita della Disney negli anni ottanta, e che era apparso in alcuni special come fece Walt a suo tempo, era ora additato come l'affossatore della Disney. Si disse che si fosse posto l'obiettivo di distruggere l'azienda prima di lasciarla, e che fosse ormai fuori di testa.
Un'ascesa e una caduta che meriterebbe di diventare la sceneggiatura di un film.

Sarebbe però ingiusto giudicare il lavoro di Michael Eisner solo dal suo declino, non fosse altro che perché questo appare tanto più rovinoso, quanto più alta era la vetta da cui partiva.
Col senno di poi, potremmo dire che la sua colpa è stata quella di trasformare la Disney in qualcosa di diverso, ma fino ad un certo punto la cosa ci è stata gradita e accoglievamo le novità praticamente senza riserve. Chi può dire quale sia il momento di fermarsi, se la strada sembra promettente?
Dopo Eisner, pare che la Disney voglia tornare a guardare alla sua storia (ha perfino riacquisito i diritti su "Oswald, il Coniglio Fortunato", più vecchio dello stesso Mickey Mouse), ma la sua storia non può tralasciare ventuno anni intensi come quelli della gestione Eisner.


TV: il cinema in piccolo

Fin dagli anni ottanta la Disney è una grande produttrice di film televisivi. Nel 1983 nasceva il Disney Channel, che era alimentato da materiale quasi esclusivamente di origine interna, anche creato ad hoc. La produzione di film a basso costo non destinati alle sale divenne presto una fabbrica a tempo pieno, quasi una "piccola Disney".
Si tratta quasi sempre di commedie o fantasy, con incursioni nell'avventura e perfino nel drammatico ed è talvolta triste notare come la natura "usa e getta" di questi prodotti abbia lasciato nell'oblìo anche cose che ci capita di ricordare, magari, molti anni dopo la visione.

Lo sfruttamento televisivo è diverso da quello cinematografico, e gli incassi arrivano dall'abbonamento ai canali via cavo, dagli inserti pubblicitari e altro. Non dai biglietti venduti.
Talvolta, però, alcuni prodotti si rivelano miniere d'oro. Il più incredibile di questi casi è un film TV del 2006 che propone una storia in fondo semplice, per non dire banale, ma raccontata con musiche vivaci, largo uso di parti cantate e coreografie ricercate. Una cosa quasi fuori dal tempo che però ha spopolato. Il film è "High School Musical", che qualcuno ha definito "Il Grease delle nuove generazioni".
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Diversamente dalla stragrande maggioranza dei film TV, questo ha goduto di una edizione DVD (in versioni diverse, per giunta) e di un CD con la colonna sonora. Il sequel del 2007 è apparso subito come una mossa obbligata e non ha certo deluso le aspettative. La prima visione americana ha raggiunto vette che la TV via cavo non conosceva e il CD della colonna sonora ha ripercorso i fasti del primo capitolo. Inevitabile un "High School Musical 3" che però sarà destinato al passaggio nei cinema. In un sistema che vuole il cinema come "fratello maggiore" della televisione, è incredibile che un sequel di un film TV approdi nelle sale cinematografiche.
Un mare di dollari è entrato negli Studios in cambio di gadgets di ogni tipo con il logo del film o le foto dei protagonisti, diventati idoli dei ragazzini.
Il paragone con "Grease" si è poi riproposto quando l'uscita di "Hairspray" ha unito nello stesso film John Travolta e Zac Efron (Troy Bolton in "High School Musical"); qualcuno ha voluto vedere questo film come un passaggio di consegne. Forse è una visione un po' esagerata, ma è un sintomo, e come tale va tenuto in considerazione.
Dal punto di vista del discorso che stiamo facendo qui, questo rende labile come non mai il confine tra cinema e TV, che possono arrivare quasi a fondersi, se riescono ad accontentare il pubblico.

La TV, inoltre, ha la possibilità di creare storie da raccontare per settimane, mesi, perfino anni a cadenza regolare. Serie TV firmate Disney o Touchstone ce ne sono molte, aggiungiamo quelle prodotte dalla ABC, che la Disney acquistò negli anni novanta, ed ecco che il panorama si allarga ancora.
Popolarissime le vicende delle "Desperate Housewives" (Touchstone) e dei naufraghi di "Lost" (ABC), Dei medici di "Grey's Anatomy" (ABC) e di quelli di "Scrubs" (Touchstone),...


Risalendo la china

La Disney sembra ormai in grado di uscire anche dalla tempesta che ha attraversato a partire dalla metà degli anni novanta. Non ha certo risolto tutti i problemi nè ha ristabilito la sua forma migliore, ma nel suo passato recente ci sono nuovi successi cinematografici, la benefica fusione con la PIXAR, una rinnovata fiducia dei fans (e degli azionisti) e la sensazione di un ritorno in grande stile ormai prossimo. Forse questo ritorno è già in atto.
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Superato il periodo della novità ad ogni costo, oggi la Walt Disney sembra voler apparire più legata alle proprie tradizioni. Il ritorno annunciato ai cartoni animati tradizionali, la sospensione dei film animati per l'Home Video e perfino la riduzione dei live action, vengono percepiti come positivi perché sembrano promettere un miglioramento del rapporto qualità/quantità.

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